sabato 31 marzo 2012

siamo tutti "diversi"

Una delle cose più difficili da accettare è la diversità, quella degli altri ma anche la nostra.
Quanto più si accetta la nostra diversità, tanto più si accetta quella degli altri.
Non esiste un individuo che sia esattamente uguale a noi nel corpo o nella psiche, quindi gli altri sono sempre dei diversi ai nostri occhi, come noi lo siamo per loro.
Il sentirsi diversi dalla maggioranza è spesso fonte di sofferenze, soprattutto nell'adolescenza, ma ciò che ci dovrebbe stare più a cuore è la ricerca e la valorizzazione della nostra verità, perchè è quest'ultima che racchiude il senso della nostra esistenza.
Le relazioni affettive sono tanto più appaganti e vivificanti quanto più sono vere, anche quando i punti di vista sono diversi, perchè è proprio nel modo di affrontare le diversità insieme nella verità che si misura la coesione di una coppia o di un gruppo.
Da questo punto di vista, quindi, meglio dire una verità scomoda di una comoda falsità.

lunedì 26 marzo 2012

un progetto di gruppo

Il Trio Raffaello
Foto di Sergio Coppi
Sabato scorso, in un piccolo teatro di Modena, ho ascoltato un trio di Mozart, uno di Shostakovich e uno di Schumann eseguiti dal Trio Raffaello (violino, violoncello e pianoforte).
I musicisti erano particolarmente bravi ed affiatati e mi hanno trasmesso emozioni molto profonde.
Mi hanno fatto pensare all'accordo tra individualità diverse: strumenti diversi, con timbri e suoni diversi, che collaboravano insieme per la realizzazione di un'opera comune, di un discorso condiviso e costruito insieme.
Mentre ascoltavo le note, il mio pensiero è corso ad un progetto che sto portando avanti con una mia collega e che partirà tra poco: la creazione di uno o più gruppi dove i partecipanti, ricevuti stimoli comuni, possano sentirsi liberi di esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri in un clima di rispetto reciproco. Un gruppo dove si possa praticare lo stare insieme nella verità, dove non ci si chieda qual'è il punto di vista migliore in assoluto, dove si accolga il mondo psichico degli altri e lo si elabori insieme al proprio, con l'unico scopo di conoscere altri modi di interpretare la realtà, per un arricchimento personale e di gruppo.
Ascoltavo i tre strumenti rincorrersi su e giù per il pentagramma, giocando tra loro e contemporaneamente immaginavo le persone del gruppo interagire tra loro, esprimersi, parlarsi, guardarsi e raccontarsi nella libertà e nella verità, stimolandosi a vicenda.



Come dicevo nel post precedente, non è facile trovare dei gruppi nei quali sentirsi accolti e non giudicati. Eppure è una cosa che quasi tutti desiderano e di cui sentono la mancanza: stare in gruppo nella consapevolezza che i propri pensieri e sentimenti hanno lo stesso diritto di esistere di quelli degli altri e sperimentare che il condividerli insieme rappresenta un arricchimento della propria personalità.
Intanto, nella preparazione di questo progetto, la mia collega ed io abbiamo trascorso diversi pomeriggi a confrontarci sinceramente, facendo noi stessi ciò che chiederemo di fare ai futuri partecipanti dei gruppi.  

venerdì 23 marzo 2012

relazioni ideali e reali


E' spesso difficile trovare qualcuno con cui potersi confidare liberamente, senza il bisogno di cautelarsi o di proteggersi in qualche modo. Si desidera avere relazioni con persone che non cercano di sfruttarci, di usarci, di farci essere quello che vogliono loro. Si vorrebbero avere dei rapporti alla pari, dove l'altro ci consideri un valore per quello che siamo veramente.
Si immaginano relazioni creative, con persone con le quali si possa costruire qualcosa insieme, ciascuno portando i propri pensieri e le proprie emozioni, arricchendosi a vicenda nel rispetto reciproco.
Qualcuno dice che ciò gli riesce solo con qualche amico o amica, ma che quando si frequenta un gruppo è quasi impossibile creare degli spazi condivisi dove ciascuno si senta veramente libero di essere sè stesso e venga accettato e accolto nella sua totalità.

In termini psicopatologici, si potrebbe dire che il nostro mondo soffre di narcisismo, quella patologia per cui ciascuno è centrato sul proprio ombelico e non è capace di ascoltare e valorizzare gli altri che, paranoicamente, considera dei potenziali nemici, non riuscendo quindi a stabilire delle relazioni creative con loro.
Il nostro mondo sembra costituito perlopiù da una serie di individui che entrano in contatto tra loro e poi si respingono, ciascuno disegnando la propria individuale traiettoria, come palline di un grande flipper condizionate dagli impulsi elettrici che ricevono.


I sociologi dicono che è la nostra società che spinge in questa direzione: la competitività è l'anima del nostro sistema economico, sociale e politico e la diffidenza e la paura sono le armi con le quali chi governa rende la gente più sola e spaventata e può così indirizzarla più facilmente a dare loro una delega in bianco su tutto, in cambio di un minimo di tranquillità e sicurezza.
La conseguenza di tutto ciò è che cresce il livello complessivo di scontentezza e chiudersi nel proprio mondo appare l'unica scelta possibile.

Spesso dimentichiamo che la relazione è qualcosa di diverso dalla somma delle individualità dei singoli e ci chiediamo di chi è la colpa di una relazione che non funziona, avendo come punto di riferimento la relazione ideale che noi vorremmo. Ma l'altro, chiunque altro, è sempre diverso da noi e la relazione, qualunque relazione, non potrà mai essere quell'ideale che desideriamo.
Possiamo evitare molte frustrazioni se riusciamo a vedere l'altro nella sua autenticità, che ci può piacere o non piacere, ma con la quale possiamo cercare di entrare in una relazione vera, invece di idealizzarlo e rimanere poi feriti dal fatto che non interpreta bene la parte che gli vorremmo fare recitare nel nostro film personale.

La nostra richiesta legittima di essere rispettati ed ascoltati dall'altro per ciò che siamo veramente, deve essere accompagnata dal medesimo rispetto e ascolto dell'altro, che significa semplicemente osservare come si comporta realmente l'altro e ascoltarlo con attenzione.
E' importante che una relazione sia vera, sia che finisca subito sia che prosegua per tutta la vita.

Molte volte mi è capitato di essere testimone di relazioni chewing-gum, nelle quali l'accettazione definitiva non arrivava mai perchè era sempre dilazionata nel tempo e condizionata al raggiungimento di un ideale di relazione oggettivamente irrealizzabile, cosicchè i malcapitati passavano in continuazione da periodi di massima gioia a momenti di frustrazione totale.
Chi è parte di una relazione sana accetta invece sia questi che quei momenti come parti di un tutto cui aderisce intimamente, oppure rifiuta la relazione nella sua totalità, perchè è convinto di volerne una che abbia caratteristiche fondamentali diverse, che comunque non corrisponderà mai in tutto e per tutto all'ideale.


martedì 20 marzo 2012

problemi telefonici

Una settimana fa ho scoperto che il collegamento con internet dal mio pc di casa era scomparso. Chiamo la Telecom che mi dice che avevo cambiato gestore. Rispondo che non era vero. Mi danno un numero verde che dice con quale gestore sei attualmente collegato e io risulto su Vodafone.
Richiamo Telecom, dico che non ho mai avuto contatti con Vodafone e loro mi rispondono che a volte basta dire un generico sì al telefono a un altro gestore e ti possono prendere la linea. Su loro consiglio mando in giornata una raccomandata a Vodafone e la invio per fax in copia a Telecom, dicendo che recedo dal contratto con Vodafone (che non ho mai sottoscritto) e che rivoglio Telecom.
Martedì ricevo un sms da Telecom che mi dice che hanno ricevuto il fax e che stanno lavorando per il ripristino. Faccio di nuovo il numero verde che mi dice che sono di nuovo con Telecom. Penso: che meraviglia, avrò di nuovo la linea in poco tempo. Errore!
Passa tutta la settimana ma la linea non ritorna. Richiamo ripetutamente Telecom che dice che ci possono volere anche 2 o 3 settimane. Nel frattempo parlo con Vodafone che mi dice che non risulto nè sono mai risultato come loro cliente, che loro di me non sanno nemmeno che esisto. Chiedo a qualche amico che se ne intende più di me e mi dicono che un gestore non può prendere la linea a un altro gestore se non c'è un documento firmato, che non basta un sì generico detto al telefono. Comincio a pensare che la mia linea sia stata staccata per errore da un tecnico Telecom (gli unici che possono farlo) e che Vodafone non c'entri niente. Chiedo spiegazioni a Telecom che non mi spiega assolutamente nulla, silenzio assoluto.
A tutt'oggi non ho ancora il collegamento ad internet. Mi stanco, guardo le tariffe Vodafone che mi aveva dato il ragazzo cui avevo chiesto informazioni e scopro che sono molto più vantaggiose di Telecom. Penso quindi che questa storia finirà davvero con l'abbandono di Telecom e il trasferimento a Vodafone. E pensare che io non ho mai voluto prendere in considerazione le offerte degli altri gestori telefonici per non perdere tempo... E invece è stata Telecom stessa che me l'ha fatto fare...
Vabbè, tutto questo per dire che in questo periodo, oltre che il mio tempo libero, anche il blog risente di questa mini-odissea telefonica. Speriamo in tempi migliori.
Mio fratello dice che siamo nel Paese dei cachi, ma forse generalizza troppo...

giovedì 15 marzo 2012

l'equilibrio dinamico

La vita è un cambiamento continuo di stati d'animo diversi.
A volte capita di sentirsi in equilibrio, di avere un buon rapporto con sè stessi e col mondo, anche per lunghi periodi, e si è felici.
Altre volte questo equilibrio proprio non lo si trova da nessuna parte e sembra di essere circondati da infiniti stimoli e possibilità nessuna delle quali ci appaga fino in fondo. Il mondo sembra poco interessante, piatto e poco nutriente, come un brodino di dado troppo annacquato.
Il fatto è che l'equilibrio non è una condizione definitiva, perchè la vita tutti i giorni ci porta delle novità, degli stimoli, delle scelte da fare e non possiamo bloccare il tempo nè i nostri stati d'animo interiori troppo a lungo.

Vivere è come andare in bicicletta: per rimanere in equilibrio bisogna pedalare.

Se si rimane fermi, si devono fare i salti mortali per non cadere, come fanno i ciclisti quando fanno il surplace, quell'esercizio faticosissimo per rimanere fermi sul posto senza toccare coi piedi per terra, nel quale spingono impercettibilmente la bicicletta in avanti e subito dopo la spingono indietro.
Possiamo quindi pensare alla vita come a una successione di sempre nuovi momenti di equilibrio, diversi da tutti quelli precedenti: l'equilibrio inteso in senso dinamico e non in senso statico, un equilibrio che non si raggiunge mai una volta per tutte, ma è il frutto di successive trasformazioni e necessita di momenti temporanei di disequilibrio e cambiamento, fino alla morte.
E nei momenti di difficoltà si può ripensare ai passati periodi felici  non col desiderio di tornare indietro, ma per rendere presente quel contatto con la nostra essenza che allora ci dava energia, per cercare di viverlo di nuovo anche nelle attuali, mutate circostanze. 

lunedì 12 marzo 2012

noi non siamo il mondo

- No, dottore, non ha senso...
- Cosa non ha senso?
- Che io debba fare fatica per capire chi sono davvero e cosa voglio veramente, quando il mondo in cui vivo fa schifo, non c'è nessuna possibilità di rapporti affettivi decenti, la gente è sempre più incattivita e chiusa in sè stessa, non gliene frega niente degli altri; poi c'è la crisi economica, il lavoro che non si trova e se si trova ti pagano niente, non ci sono prospettive per il futuro...

Ascolto discorsi di questo genere sempre più frequentemente. Cresce il numero delle persone che, almeno in certi momenti, pensano che non valga la pena di occuparsi di sè, visto che il contesto in cui vivono è brutto e apparentemente senza prospettive di aperture e miglioramenti.
Credo che si debba cercare di contrastare questi atteggiamenti rinunciatari innanzitutto dentro noi stessi, perchè non portano da nessuna parte, anzi, contribuiscono ad imbruttire il mondo e le relazioni umane.
Proprio perchè il mondo in questo momento non è particolarmente bello, è indispensabile prenderci affettivamente cura di noi stessi, per garantirci uno spazio d'anima, una nicchia affettiva calda e positiva che ci aiuti a sopravvivere e magari anche a vivere decentemente.
Vivremo sempre male se non impareremo a trovare il modo di volerci bene, prima ancora di trovare qualcuno che ci ami. Ho conosciuto persone che, con la forza di questo amore per sè e pur partendo da situazioni di estremo disagio, sono riuscite con grandi fatiche a diventare indipendenti emotivamente (ed economicamente) e a garantirsi una vita autonoma e quindi libera.
Non essere dipendenti dal contesto è l'obiettivo: riconoscerne le bruttezze ma non farle proprie, crearsi un micromondo dove l'ossigeno che produciamo sia sufficiente per permetterci di respirare. Non per allontanarci dal mondo, ma per garantirci le energie necessarie per contrastarne, nei limiti del possibile, gli aspetti negativi e malsani.
Non dovremmo mai perdere di vista la distinzione tra noi e il mondo circostante.
Senza la minima spocchia, senza colpevolizzare nessuno, riconoscendo a tutti il diritto di comportarsi secondo le proprie energie ed inclinazioni, ma salvaguardando e rispettando le proprie specificità personali.

Ci sono delle persone bellissime, che ora hanno una certa età e che hanno lottato per tutta la loro vita in nome di un ideale, per una società migliore, per un mondo migliore. Ora che i risultati non sono quelli da loro sperati, non è giusto che si abbattano, come se la riuscita della loro esistenza si identificasse con quella della società nel suo complesso.
Bisogna tenere sempre presente questa differenza: noi possiamo fare ciò che ci è possibile, ma l'andamento generale della società non dipende solo da noi. Dobbiamo mantenere la consapevolezza di ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo, per poter avere un giudizio su noi stessi, che ci faccia sentire il valore reale della nostra vita. Con realismo, con senso del limite, perchè è facile cadere in una sorta di delirio di onnipotenza che spesso porta a vivere ingiuste sensazioni di frustrazione e di impotenza.
Anche se ci spendiamo per gli altri, dobbiamo salvaguardare un nostro spazio personale dove poter fare i conti con noi stessi, con la nostra coscienza, dove poter essere eventualmente soddisfatti di noi anche se non siamo soddisfatti del mondo che ci circonda.

(Per andare alla homepage del blog: http://www.lapoesiadellapsiche.blogspot.it/ )

venerdì 9 marzo 2012

noi e gli altri


Non esiste un altro essere umano uguale a noi.
Non esistono due corpi identici e nemmeno due anime uguali; ciascuno è il frutto della propria storia e della propria interiorità, che nessun altro potrà mai conoscere appieno.
Ci si può sentire simili ad un'altra persona, ma non si è mai uguali.
La diversità è una grande ricchezza e va rispettata.
Dobbiamo rispettare gli altri ed esigere dagli altri il rispetto per noi stessi, su un piano di perfetta, armonica, parità.
“Ama il prossimo tuo come te stesso”: questo passo del Vangelo deve essere letto nel senso di  “allo stesso uguale ed identico modo”, non di meno, ma neanche di più di te stesso.
L’altro è una sceneggiatura che noi possiamo leggere, ascoltando i sentimenti che trasmette al nostro animo. Per questo è importante essere consapevoli di sé stessi, evitando di proiettare sull’altro i nostri problemi irrisolti, i nostri difetti, le nostre mancanze e i nostri desideri.
Nei rapporti affettivi non c’è nulla di più difficile e problematico da sostenere delle aspettative che gli altri nutrono nei nostri confronti, poiché sono la fonte diretta di giudizi e sensi di colpa: se siamo come gli altri ci vorrebbero, essi ci giudicano positivamente, ci vogliono bene o ci amano, mentre se siamo diversi da ciò che si aspettano da noi, ci giudicano negativamente e ci fanno sentire in colpa per non essere quello che essi vorrebbero che noi fossimo.


 La nostra società tende ad alimentare la nostra autostima solo se dimostriamo d'essere vincenti, se abbiamo successo, se siamo belli e simpatici, e non dà valore a ciò che siamo nella nostra interezza.
Queste richieste alimentano i nostri aspetti narcisistici e depressivi, nutrono le ansie da prestazione e le crisi di panico, lasciano inappagato il bisogno di sentirci accolti per ciò che siamo e sono causa di tanti vissuti di solitudine e insoddisfazione.
Gli altri sono una ricchezza, una potenzialità di accrescimento della nostra umanità, ma ciò si realizza solo se noi non abbiamo paura di avvicinarli e conoscerli meglio; e per fare ciò è necessario avere una sufficiente autostima, per non spaventarci o sentirci a disagio quando riscontriamo delle differenze tra il nostro modo di essere e quello degli altri. Il riconoscimento delle differenze deve rappresentare un'opportunità e non un ostacolo per le relazioni interpersonali.
Si può stare in gruppo senza perdere la propria individualità, a patto che il gruppo sia rispettoso dell’individualità di ciascuno dei suoi membri, con la consapevolezza del fatto che le specificità e le diversità dei suoi componenti rappresentano la prima garanzia della sua vitalità. Perché le persone consapevoli di sé cercano il rapporto con gli altri, il piacere della relazione e dello scambio; desiderano arricchirsi attraverso la conoscenza dell'altro, che è per loro sinonimo di apertura alla vita, alla trasformazione e al cambiamento.

martedì 6 marzo 2012

ogni persona è una poesia


Entra una persona nuova nel mio studio. La accolgo: io sono una fila di punti interrogativi.
E' lì per raccontarmi la sua vita, quel filo rosso che lo accompagna da sempre e che si è riempito di piccoli e grandi nodi che da solo non riesce più a sciogliere.
E' una persona, un essere umano, ha un cuore che sente dolore.
E' dubbioso, non sa dove andare, ha perduto la traccia del sentiero che stava percorrendo da sempre.
Si siede.
Da dove devo cominciare? mi chiede.
Da dove vuole, rispondo.
Lo osservo, vedo la sua postura, vedo la posizione del suo corpo sulla poltrona, guardo le tensioni che lo irrigidiscono, ascolto la sua difficoltà nel cominciare a parlare, a dire di sé, a prendere in mano il suo gomitolo male arrotolato.
Non è facile, mi dice.
Lo so, gli rispondo, e vorrei aggiungere: ci sono stato anch'io, e molto a lungo, a suo tempo, seduto sulla poltrona di chi chiede aiuto.

Non ha ancora cominciato a raccontarmi la sua vita, i suoi problemi, e già sono in relazione con lui, perché il modo in cui si è presentato, le cose che mi ha detto, come le ha dette, ogni movimento del suo corpo, mi sono entrati dentro, suscitandomi delle emozioni, dei collegamenti interiori, delle risposte istintive.
Le stesse parole dette da due bocche diverse, da due corpi diversi, hanno significati diversi.
La psicoterapia viene definita la cura con le parole ma non ha parole standardizzate, uguali per tutti, perché non esiste un paziente uguale ad un altro, così come non esiste un essere umano uguale ad un altro.
Nessuna persona suscita sentimenti uguali.
Nessuna seduta è uguale ad un altra.
Si è esattamente quel che si è in quel preciso momento, si è in relazione, si è vivi, mai uguali ad un momento precedente.
Non è detto che si vada avanti, ci si può anche fermare subito, sentire e capire che non è un incontro fecondo.
Oppure decidere di iniziare insieme un viaggio di cui si sa ben poco, se non che vale la pena di provare a partire.
Ogni persona, ogni relazione è una poesia e tutte le parole della psicoterapia sono parole poetiche.

sabato 3 marzo 2012

il genitore-ombrello

Ombrello esposto al MOMA
Quando mio figlio aveva tre-quattro anni avevo inventato per lui questo semplicissimo gioco: ci mettevamo seduti a gambe aperte per terra in un angolo della casa, lui era seduto tra le mie gambe, con la sua schiena appoggiata al mio petto, io avevo in mano un piccolo ombrello.
Ad un certo punto dicevo:" uh, piove, piove, guarda come piove", quindi aprivo l'ombrello sopra di noi e stringevo mio figlio, abbracciandolo forte forte. Dopo un po' dicevo: "non piove più, adesso c'è il sole", chiudevo l'ombrello e allentavo l'abbraccio. Poi si ricominciava il gioco daccapo e si andava avanti così per parecchio tempo.
Sempre in quel periodo, quando eravamo al mare, succedeva che arrivassero dei temporali estivi, con tuoni fortissimi e fulmini accecanti. Allora io lo prendevo in braccio e lo tenevo abbracciato a me mentre, seduti insieme su di una sedia, guardavamo fuori dalla finestra le nuvole nere sul mare. Io gli dicevo con gioia: "dai dai, guardiamo i lampi, che belli!", oppure: "senti, senti che tuono forte: bum, bam, barabum... grande eh?".
Foto di Daniele Franceschini 
Il risultato è stato che non ha mai avuto paura, né dei tuoni né dei fulmini, e alcuni anni dopo mi ha chiesto:"Papà, ti ricordi che bello quando ero piccolo e facevamo il gioco dell'ombrello?".

I bambini piccoli hanno bisogno di sicurezza, di genitori-ombrelli, di sentire che ci siamo e gli vogliamo bene, del nostro amoroso contatto fisico; allora diventa possibile anche trasformare in gioco le situazioni potenzialmente paurose e ansiogene.
D'altra parte chi di noi, anche da adulto, non desidera avere qualcuno che lo coccoli e lo rassereni con il suo amore caldo e sincero?
Il gioco di stringere a sè i figli quando c'è un pericolo e di lasciarli andare quando il pericolo non c'è più ha anche un valore simbolico, perché rappresenta il comportamento giusto da tenere con loro sempre nella vita: essere presenti e protettivi nei momenti di bisogno e sapersi poi distaccare per lasciar loro compiere in autonomia le proprie esperienze.